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15 – Le leggi dell’attività morale

Teologia Morale17 Gennaio 2023
Testo dell'audio

Quest’oggi iniziamo a studiare insieme le leggi dell’attività morale.

L’uomo deve tendere alla perfezione della propria natura, nella qual cosa consiste il suo fine ultimo: quest’orientamento si attua per mezzo di quegli atti che egli compie in conformità con la regola o legge della ragione, il cui compito specifico è di adattare i mezzi ai fini. Legge e fine si identificano, dunque, nella nozione comune di ragione; infatti se si può dire che il fine, conosciuto ed additato dalla ragione, è regolatore dell’azione, dovendosi ogni regola d’azione stabilire necessariamente in funzione del fine da conseguire, si può per altro dire che la ragione è regolatrice dell’azione in vista del fine a cui tendere, dovendo ordinare i mezzi al fine, che, nell’ordine pratico, ha valore di principio. Si afferma così il primato universale della ragione nel campo dell’attività: tesi che sarà ora lumeggiata studiando la legge come manifestazione essenziale della ragion pratica e fondamento del diritto e del dovere.

 

Innanzi tutto cerchiamo di definire la legge, con le sue proprietà ed i suoi effetti, e, in seguito, di determinarne le differenti specie.

 

LA REGOLA DELL’ORDINE – Nell’accezione più generale, il concetto di legge designa la norma alla quale le cose devono conformarsi in tutti i campi: nel campo fisico, nell’ambito dell’arte, in quello dei costumi, ecc. Come tale, la legge significa un comando della ragione destinato ad assicurare l’attuazione dell’ordine, e cioè il perseguimento di fini determinati, come l’adozione di mezzi adatti a conseguire il fine e l’armonia e l’unità degli enti molteplici. Si definisce dunque la legge in ciò che ha di essenziale e, per conseguenza, di più universale, dicendo che essa è un ordinamento della ragione, per il fatto che la ragione tende sia ad attuare un ordine, sia a dare un ordine o comando: in questo duplice senso, l’ordine è opera della ragione.

 

Questa nozione della legge come opera della ragione è assai spesso mal compresa dai giuristi, non solamente da quelli che, sulla linea del Contratto Sociale di ROUSSEAU fan derivare la legge dalla «volontà generale», ma anche da quelli che riconoscono nella legge l’enunciazione di un giudizio della ragione. Sembra ad alcuni che, imponendo la legge un’obbligazione, l’atto di volontà sia necessariamente costitutivo della legge stessa. Secondo alcuni, il comando in cui consiste la legge è essenzialmente un ordine della volontà che si conforma alla regola razionale. C’è forse un equivoco in questa tesi. È ben chiaro, infatti, che la legge non è solamente un atto di ragione, ma anche un atto di volontà ed è dalla volontà ch’essa trae immediatamente la sua forza di obbligazione. Sennonché l’atto della volontà è manifestazione esteriore di un imperium, che nella sua essenza, è un atto col quale la ragione definisce l’ordine e i mezzi per conseguirlo. Anche l’obbligo, come si vedrà più chiaramente, trova il suo fondamento nell’ordine scelto dalla ragione: l’imperium non lo crea, per parlare in senso proprio lo manifesta. La legge dunque, nella sua essenza, è una determinazione della ragione.

 

IL CONCETTO DI LEGGE – L’analisi precedente ci permette di definire la legge, in maniera più concreta, come «un ordinamento della ragione, promulgato, in vista del bene comune, da colui che ha la cura della comunità».

 

  1. L’ordinamento della ragione. Abbiamo già mostrato il carattere essenzialmente razionale della legge: essendo norma e misura dell’essere e dell’agire, essa implica percezione e definizione di rapporti, ed è per eccellenza, opera della ragione. Ma di quale ragione si parla? Studiando la legge eterna vedremo che questa ragione non può essere che la Ragione suprema, principio primo dell’ordine universale e che qualsiasi ragione legislatrice è necessariamente una emanazione o un riflesso della ragione suprema.

 

  1. Il bene comune e la promulgazione. La legge ha per fine il bene comune e non il bene particolare del tale e del tal altro. Senza dubbio, essa vincola ogni individuo, ma si rivolge a tutti, in vista del bene a tutti comune. Inoltre la legge dev’essere promulgata, senza di che non potrebbe obbligare: essa è, infatti, essenzialmente una regola che si rivolge prima di tutto alla ragione e che non può essere praticata se non è sufficientemente conosciuta.

Potrebbe sorprenderci che la legge sia definita, nel suo senso generale, come una realtà sociale (mediante l’idea del bene comune, fine della legge) e anche (per mezzo dell’idea di promulgazione) come una realtà giuridica; ma occorre capire bene quest’aspetto della legge. Innanzitutto, il riferimento al bene comune non significa altro, qui, che il necessario rapportarsi diretto e indiretto della legge a Dio medesimo, fine ultimo di tutto l’universo, e più particolarmente fine ultimo degli esseri ragionevoli. D’altra parte, la teologia naturale ci ha condotti a concepire l’universo come una comunità di cui Dio è il Capo, perché Creatore e Legislatore sovrano. Ne deriva che si può considerare la legge, in generale, come una realtà sociale, nel pieno senso della parola, cioè come fondata da Dio in vista del bene comune e destinata ad ogni comunità di esseri: la promulgazione della legge negli esseri non intelligenti coincide con le loro rispettive nature, mentre negli esseri intelligenti si rivolge alla loro ragione, per la quale essi prendono possesso della regola che deve illuminare e dirigere la loro attività verso l’ultimo fine.

 

  1. Il capo. Si comprende ora che la legge dev’essere proposta da colui al quale appartiene ordinare al bene comune, che è il fine della legge. Non tocca a chicchessia legiferare, ma solamente a chi esercita l’autorità legittima e che, a questo titolo, ha l’obbligo e la missione di assicurare il bene comune di tutti.

 

Se ci si pone da un punto di vista concreto, il principio dell’obbligazione consisterà praticamente nell’autorità del capo legittimo. Il capo sarà dunque necessariamente distinto dal soggetto della legge cioè da chi vi è obbligato: per questa ragione il legislatore umano non può obbligare se stesso con le leggi positive ch’egli ordina (almeno in quanto queste leggi non siano semplici enunciazioni o dichiarazioni della legge naturale). Se egli risulta obbligato dalla sua propria legge, essa non lo obbligherà mai in quanto legge, la quale non può avere per lui forza coattiva, ma ad altro titolo. In generale, nessuno può obbligare se stesso nel senso stretto della parola. Allorquando diciamo di essere legati con un voto, un contratto o una promessa, non facciamo che riconoscere l’autorità della legge naturale (e, di conseguenza, l’autorità di Dio, legislatore dell’ordine naturale), la quale impone l’osservanza di questi impegni e il rispetto della parola data.

 

LE PROPRIETÀ DELLA LEGGE – Dalla definizione di legge derivano le quattro proprietà seguenti: la legge dev’essere possibile, giusta, utile e stabile.

La legge non può imporre che il possibile, perché essa è un comando della ragione e sarebbe assurdo comandare una cosa impossibile. La legge dev’essere ancora giusta, perché atto della ragione: una legge ingiusta è, dal punto di vista della ragione, una nozione contraddittoria per cui la ragione nega se stessa, proponendo imperativi irrazionali. Un esempio fra tutte di legge ingiusta: la 194 sull’aborto varata nel 1978. Tuttavia, la legge ingiusta può esistere di fatto, imposta da chi esercita l’autorità: ma in questo caso essa viola la giustizia distributiva, fondando una giustizia meramente legale (o esteriore).

Infine, la legge dev’essere utile al bene comune, altrimenti sarebbe irrazionale, e deve rimanere stabile, conservare cioè la sua potenza d’obbligazione per tutto il tempo in cui è in vigore, finché non sia revocata dal legislatore.

 

L’EFFETTO DELLA LEGGE – La legge, in quanto comando della ragione destinato a orientare verso il loro fine l’attività dei diversi esseri, tende, per definizione, al bene di questi esseri, poiché il fine e il bene, materialmente, s’identificano. Se si tratta specialmente  di esseri ragionevoli, noi diremo dunque che l’effetto della legge morale è di renderli virtuosi, perché è per la virtù che l’uomo si prepara a conseguire il sommo bene, nella qual cosa si deve ravvisare l’effetto remoto della legge.

La legge ha pure un effetto più immediato, che è il suo fine prossimo, e che consiste nel creare, nel soggetto della legge, una necessità di agire (o d’agire in una certa maniera determinata). Per gli esseri non intelligenti questo impulso ad agire è fatale ed irresistibile, per gli esseri razionali è di natura morale e viene designato con la parola obbligo o dovere. Qui si tratta ancora d’una necessità, ed addirittura assoluta, poiché essa lega la volontà del soggetto della legge, foss’anche suo malgrado, ma questa necessità è morale, non fisica, non procede cioè né da una determinazione intrinseca della natura, né da una costrizione esterna: essa si rivolge alla ragione e rispetta la libertà del soggetto della legge. Il dovere è semplicemente l’obbligo in quanto conosciuto da colui che ne è il soggetto. La prossima volta vedremo più in dettaglio la divisione della legge.

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